Dalla
storia uno sguardo al futuro (Gli inizi 1942-’47)
Di Alberto
Gandolla
E’ noto come l’intervento del nostro Stato nel campo caritativo e assistenziale
sia molto tardivo, e risale circa a trenta-quaranta anni fa. Prima, tradizionalmente,
la cura dei bisognosi era essenzialmente lasciata alle varie iniziative private,
soprattutto religiose ma anche laiche. In Ticino, in risposta ai nuovi tempi,
a partire dalla seconda metà dell’Ottocento si assiste a un notevole sviluppo
dell’assistenzialismo cattolico, soprattutto per opera di iniziative locali
nell’ambito parrocchiale e per l’azione delle congregazioni religiose (suore
di Menzingen, di Ingenbhol, Guanelliane, suore di San Vincenzo de Paoli, ecc.).
Solo più tardi si segnala la presenza di un terzo polo, e cioè l’autorità
ecclesiale stessa, che tenderà ad assumere un ruolo di guida nell’ambito caritativo.
Com’è la situazione sociale nel Ticino allo scopertine/coppio della seconda guerra mondiale? Il nostro cantone si trova in una fase di depressione economica; la crisi degli anni Trenta non è ancora del tutto superata. La legislazione sociale è ancora molto lacunosa, i pochi progressi sono dovuti principalmente all’azione rivendicativa delle organizzazioni operaie e sindacali (l’OCST in campo cattolico, la Camera del Lavoro e le sue federazioni nel campo socialista). Nel campo dell’assistenza ai poveri e ai bisognosi l’intervento pubblico è limitato, spesso insufficiente, ed è di competenza comunale; i numerosi interventi privati, come detto spesso provenienti dal mondo cattolico, non riescono a copertine/coprire tutti i bisogni. Così è proprio per rispondere alle dure condizioni di vita del tempo di guerra che la Confederazione inizia a prendere una serie di misure a carattere sociale. In questo difficile contesto, nel giugno 1940 i vescovi svizzeri, in una lettera pastorale, raccomandano a tutti i fedeli di sostenere con vigore la Charitas centrale di Lucerna, che oltre ai bisognosi svizzeri si occupa anche dell’assistenza ai rifugiati. Nel corso dei mesi seguenti alcuni responsabili del movimento cattolico ticinese sentono arrivato il momento di costituire una vera opera diocesana di carità. I motivi dichiarati in proposito sono diversi e gravi: il dilagare della miseria, la necessità di coordinare le istituzioni di carità cattoliche, la fioritura di iniziative laiche e socialiste, l’invadenza della Commissione cantonale di coordinamento delle opere assistenziali. Queste motivazioni (prese da una lettera di F. Masina a don Leber, del 5.11.1941) sono interessanti e mostrano la preoccupazione di combattere la povertà, di una migliore presenza cattolica nel campo assistenziale e la necessità di non farsi emarginare da altre forze sociali e politiche. Il modello che è scelto per il nuovo ente è quello delle Charitas diocesane, facenti capo alla centrale di carità Charitas di Lucerna. Finalmente il vescovo mons. Angelo Jelmini l’11 dicembre 1941 può annunciare la creazione di Charitas, presentata come Ufficio diocesano centrale delle nostre opere assistenziali e caritative esistenti in Diocesi. Esso avrà anche lo scopertine/copo di tenersi in contatto colle diverse istituzioni di beneficenza del paese e di organizzare, nel miglior modo, l’opera di assistenza e di carità, che, in questi tempi di strettezze, si rende sempre più necessaria (Monitore Ecclesiastico 1941, pp. 190-191). All’inizio di gennaio 1942 Charitas diocesana apre così il suo Ufficio in via Nassa 66 a Lugano, nella casa vescovile. I primi tempi sono molto duri: l’ufficio è aperto di mattina, cinque volte la settimana, il personale è ridottissimo e soprattutto volontario, i mezzi finanziari molto scarsi (… quest’ultimo aspetto rimarrà una costante). Il primo direttore è Francesco Masina (1889-1966), persona molto nota, generosa e impegnata nel campo sociale, sindacale (presidente dell’OCST dal 1933 al 1966) e politico (granconsigliere dal 1935 al 1955 e consigliere nazionale dal 1951 al 1959). Nonostante il modesto avvio l’attività aumenta ben presto, perché purtroppo il bisogno non manca di certo. La festa di Pentecoste del 1942, con la relativa colletta di carità, è l’occasione per una prima reale pubblicità in tutto il cantone. Ecco come funziona Charitas in questi primi tempi: si accolgono le persone, si controllano le segnalazioni; si accertano le situazioni personali o familiari; si controlla se il bisognoso ha diritto a prestazioni pubbliche, e se del caso l’Ufficio dà del suo (indumenti, buoni per il cibo, mobili, denaro, ecc.) o aiuta in pratiche concrete. Oltre al modesto ma prezioso aiuto materiale vi è anche un sostegno morale e spirituale, rimanendo chiaro che al bisognoso non si chiede certo l’appartenenza politica o religiosa. All’ente sono poi affidati, col tempo, alcuni segretariati di opere caritative; nascono anche un certo numero di Charitas parrocchiali. Stilando il suo primo rapporto annuale al vescovo, Masina può riferire che Charitas ha già aiutato, in vari modi, oltre mille persone.
L’emergenza rifugiati
E’ noto
come la Confederazione adotti nei confronti dei profughi – soprattutto se
ebrei - una politica severa già prima dello scopertine/coppio della seconda guerra mondiale.
Nell’estate del 1942 il consigliere federale Von Steiger afferma che la Svizzera
è ormai una barca piena e non può più accettare altri rifugiati; questo in
un momento in cui vi sono però solo 10mila profughi civili. In quel periodo
la maggioranza dei cattolici, come del resto la maggior parte degli altri
svizzeri, sembra adeguarsi a questo tipo di Realpolitik. Nel mese di novembre
1942 l’Ufficio centrale svizzero di soccorso ai rifugiati, con sede a Zurigo,
decide di svolgere un‘importante colletta, con relativa campagna pubblicitaria
di tre mesi. Da notare che l’assistenza ai rifugiati, in Svizzera, era tradizionalmente
affidata alle organizzazioni private e quindi demandata ai vari enti in funzione
dell’appartenenza politica o religiosa dei profughi. In Ticino si forma un
Comitato per l’aiuto ai rifugiati, con una ventina di membri rappresentanti
un po’ tutte le principali forze politiche. La presenza cattolica è forte:
il presidente è il consigliere nazionale Adolfo Janner, inoltre vi sono Francesco
Masina, don Leber (direttore del GdP), don Del-Pietro (segretario dell’OCST).
Masina diventa il segretario del comitato e dunque la segreteria è posta nella
sede di Charitas di via Nassa 66 a Lugano. La rispondenza della campagna in
Ticino è piuttosto buona e costituisce un primo momento di effettiva solidarietà.
Ma la forte emergenza rifugiati avviene dopo l’8 settembre 1943, quando il
governo italiano annuncia l’armistizio con gli alleati. La situazione precipita
in pochi giorni: fuga del re, sbandamento dell’esercito italiano, occupazione
della penisola da parte della Wehrmacht, ecc. Una fiumana di profughi italiani
(militari, civili, ebrei, …) si riversa verso la nostra frontiera, cogliendo
di sorpresa le autorità di Bellinzona e di Berna. Vengono organizzati una
serie di campi di raccolta, e si sviluppa una vera gara di solidarietà fra
i partiti, le varie associazioni e la gente comune; riprende l’attività anche
il Comitato formatosi il novembre precedente. Se l’impegno dei socialisti
e di altri ambienti laici è notevole, il mondo cattolico non è certo da meno
e Caritas, la Casa del Popolo gestita dall’OCST e anche direttamente la Curia
(con il vescovo ad assumersi responsabilità personali; da ricordare anche
la preziosa attività del giovane cappellano militare don Cortella) operano
in modo generoso a favore non solo dei rifugiati cattolici. L’aiuto materiale
di Caritas (che dalla primavera 1943 aveva… perso l’ ”h”) consiste nella raccolta
e spedizione di vestiti, medicinali, modesti sussidi mensili, ecc.; per chi
vuole vi è anche un’assistenza religiosa. Un anno dopo vi sono poi i fatti
della Val d’Ossola: i partigiani liberano la vicina valle per una quarantina
di giorni, poi l’esercito tedesco riprende il controllo, con una violenta
repressione. Di nuovo moltissime persone si rifugiano in Ticino. Anche in
questo caso l’aiuto ai rifugiati è grande, ma si sviluppa in un contesto di
tensione, molto politicizzato. Caritas si occupa soprattutto dell’aiuto ai
bambini raccolti negli apposti campi, e gestisce una somma non indifferente
data dal Papa Pio XII in persona per i rifugiati ossolani. Ma il clima fra
le organizzazioni assistenziali (Soccorso Operaio, Croce Rossa, Caritas) non
è buono ed è quasi di concorrenza.
Insomma gli ultimi due anni di guerra per Caritas sono caratterizzati da un’impennata
di richieste di aiuto. Pur non rinunciando all’attività in favore dei poveri
della diocesi, una fetta cospicua di mezzi materiali e finanziari (il lato
debole dell’ente!) è assorbita dalle varie azioni in favore dei profughi.
In attesa di poter leggere la versione definitiva del rapporto Berger, per
inquadrare come la Svizzera si sia comportata durante gli anni della guerra,
credo si possa comunque dire che l’attività di un piccolo ente caritativo
come la Caritas diocesana ticinese sia stata, pur nei suoi limiti strutturali,
molto positiva.
L’azione di aiuto all’alta Italia
Nell’estate 1944 la Caritas centrale di Lucerna elabora delle direttive per il dopoguerra, comprendente degli aiuti materiali, culturali e spirituali alle popolazioni delle nazioni confinanti la Svizzera colpite dalla guerra. Le motivazioni di questo aiuto sono certo prima di tutto umanitarie, ma vi è anche una componente sociale-politica: le varie organizzazioni socialiste e comuniste hanno un’attività rilevante e si vuole contrastarle anche sul piano assistenziale. Nel frattempo la Confederazione, per iniziativa del consigliere federale Wetter, decide di stanziare un credito di 100 milioni di franchi per un Dono svizzero per le popolazioni bisognose. Lo Stato metterà a disposizione il denaro e le derrate alimentari e le associazioni caritative private potranno gestire direttamente l’aiuto, naturalmente controllato. In Ticino i responsabili di Caritas si mettono subito al lavoro e Masina il 17 novembre presenta al vescovo un progetto dettagliato per la costituzione di una sezione “Caritas aiuto ticinese all’alta Italia”. Nel documento si specifica i motivi dell’azione; la necessità di agire in quanto cattolici, il dover curare il disagio materiale e morale, lo storico debito di riconoscenza verso le diocesi di Como e Milano, il dover combattere l’intenso lavoro del Soccorso Operaio svizzero, di tendenza socialista. L’azione dovrà effettuarsi nel quadro del costituendo Dono svizzero alle vittime della guerra. In effetti, il 12 dicembre si costituisce a tal scopertine/copo il Centro di azione ticinese per l’alta Italia (CATAI), diretto da Giuseppe Lepori e da Guglielmo Canevascini; Caritas vi aderisce subito. Da notare che Caritas, tramite il vescovo di Lugano, è da tempo in contatto con l’arcivescovo di Milano Schuster, che con una serie di lettere illustra la tragica situazione materiale e morale della sua gente. Il 1. marzo 1945 la Caritas diocesana fa un importante appello, invitando il popolo ticinese a collaborare concretamente all’azione; il documento è firmato anche dal vescovo mons. Jelmini, da don Leber, don Del-Pietro, mons. Cattori, Alberto Bottani, Agostino Bernasconi e altri responsabili del mondo cattolico. Finalmente il primo trasporto del Dono svizzero gestito da Caritas ai bambini di Milano avviene il 27 luglio. In seguito molti volontari di Caritas, guidati da Emanuele Bianchetti, possono cominciare il lavoro concreto sul terreno; naturalmente vi sono anche varie persone del posto che aiutano l’azione. L’attività di soccorso di Caritas si estende anche ad altre città del nord Italia, a Varese, Bergamo, Brescia, Treviso, ecc. Si tratta soprattutto di aiuto ai bambini e alle madri e alla costruzione di baracche per gli sfollati. Il problema principale è quello finanziario: gli aiuti, oltre che dalla Confederazione, vengono dalle collette, dalla Caritas centrale; mons. Jelmini non esita ad attingere anche alle esigue risorse dell’Amministrazione apostolica di Lugano. In un clima di grande generosità ma spesso di evidente competizione con le altre associazioni assistenziali, l’azione può durare fino alla fine del 1947, poi i finanziamenti si esauriscono. Masina può scrivere al vescovo, il 1. dicembre 1947, che Caritas ha potuto soccorrere ben 220mila persone, grazie all’intervento diretto di 46 volontari. L’azione di aiuto alla popolazione del nord Italia nel 1945-47, compiuto da Caritas e da altre associazioni assistenziali, oggi ormai dimenticata, è sicuramente una delle più significative iniziative di vera solidarietà svolte dal Ticino.